clip_image002

Lasciate che i pargoli vengano a me

Prima della venuta di Gesù

Al tempo dei Greci e dei Romani non bastava appartenere al genere umano per avere una vita garantita. I neonati non avevano un diritto automatico alla vita. Se nascevano deformi venivano uccisi, esponendoli alle intemperie o gettandoli da una rupe in un burrone. I bambini non erano considerati persone, ma esseri di minor valore, possesso del padre, che poteva accettarli come membri della famiglia ma anche rifiutarli, farli morire o cederli a qualcuno come schiavi.

I bambini sono persone da amare

Tra Gesù e i bambini c’è una calda simpatia. Il Maestro ha uno sguardo di tenerezza e di protezione nei loro confronti, che imprime una svolta nella storia. Egli li accoglie e li abbraccia, si commuove davanti alla loro morte: “In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre” (Luca 7, 11-15).

Un fatto analogo accadrà nella casa di Giairo, quando richiamerà in vita la fanciulla morta, prendendole la mano e pronunciando con dolcezza le parole: “Talità kum” che letteralmente, secondo alcuni esegeti, significherebbe: “Agnellino, alzati” (Marco 5, 41).

I bambini sono innocenze da difendere

L’infanzia racchiude in sé una grande fragilità e una grande forza, e questa fragilità va tutelata. Gesù, l’uomo dallo sguardo mite e dalle parole consolatrici, sembra lanciare fiamme per difendere l’innocenza dei bambini, che è anche la purità di quanti credono in lui. Pronuncerà una frase terribile, tonante e spaventosa: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! E’ inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!” (Matteo 18, 5-7).

Questa sentenza condanna senza sconti la pedofilia, male antico e nascosto, ma purtroppo diventato una piaga del nostro tempo: nelle famiglie, nei collegi, nei gruppi sportivi e – disgraziatamente – anche nella Chiesa. Papa Francesco ha chiesto perdono per quanto avvenuto in passato e ha prescritto tolleranza zero in futuro.

È scandalo anche assumere atteggiamenti sconvenienti che influenzano negativamente l’animo ingenuo e semplice dei bambini. La minaccia di Gesù non è solo per chi abusa sessualmente di un bambino, ma anche per chi, insegnante o educatore, mette veleno nella sua mente, non promuove valori positivi, incentiva scaltrezza maliziosa, arrivismo, bullismo, abilità nel mentire e non difende l’infanzia dalle dipendenze di “smartphone” che rendono schiavi e infelici.

Susanna Tamaro scrive: “Scandalizzare i bambini vuol dire presentare un mondo di violenza, volgarità e sopraffazione, un mondo senza alcuna luce, né gioia, né poesia”.

I bambini sono persone da accogliere

Essi si avvicinavano fiduciosamente a Gesù, che li prendeva in braccio e li benediceva. La loro presenza non disturbava Lui, ma creava reazione in chi voleva ascoltarlo con calma e indisturbato: “Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro” (Marco 10, 13-16).

L’atteggiamento di Gesù ci insegna che è bene portare i bambini alle funzioni religiose, specialmente alla Messa. In alcune chiese c’è uno spazio idoneo per loro, che possono muoversi, fare disegni, mentre i genitori partecipano alla liturgia attraverso una parete di vetro o uno schermo televisivo. La Messa non è un concerto in cui la musica non tollera rumori, perciò dobbiamo accettare serenamente sia i colpi di tosse dei vecchi sia il pianto dei bambini. Una volta, mentre celebravo, una mamma portò fuori di chiesa il bambino piangente. Avrei voluto fermarla: “Non portarlo via! Senza di lui la Messa è impoverita, perché manca il suo pianto, che è una voce gradita a Dio forse più delle esecuzioni del coretto e della perfezione dell’organista”.

In Africa ho visto i bambini a Messa che lodavano Dio succhiando al seno delle mamme, che li allattavano con naturalezza. In diverse missioni ho anche lodato una bellissima tradizione: quando la mamma si accosta all’altare con in braccio un bambino, il celebrante da a lei l’ostia e traccia una croce sulla fronte al piccolo.

Talvolta tornando dalle missioni dove avevo visto tanti bambini poveri ma sorridenti, trovavo più cani e gatti che bambini, pochi, vecchietti, ipernutriti, goffi, viziati e non sempre felici. Il problema demografico è di stingente attualità. Già nel 2004 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi dichiarava: “Il problema numero uno dell’Italia sono le culle vuote”.

Diventare come i bambini per entrare nel regno

Nel testo sopracitato del Vangelo di Marco (10, 13-16) si esplicita una condizione indispensabile per entrare nel Regno dei Cieli. Avere un animo da bambino è importante come ricevere il Battesimo: “In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio” (Giovanni 3,5); è importante come convertirsi dal peccato: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Matteo 18, 3); è importante come mangiare il corpo del Signore nell’Eucaristia: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Giovanni 6, 51).

Una volta gli Apostoli lungo il cammino parlottavano tra di loro, domandandosi chi fosse il più grande. Arrivati nel villaggio, Gesù si sedette, li guardò e chiese di che cosa stavano confabulando. Davanti al loro silenzio imbarazzato compì un gesto significativo: “Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Matteo 18, 2-5).

Spesse volte i bambini escono con l’espressione: “Quando sarò grande, voglio fare …”. È la consapevolezza di essere piccoli e di voler diventare come i fratelli maggiori o i genitori. L’invito di Gesù ad assomigliare ai bambini è un forte richiamo alla semplicità e all’umiltà, doti che mancano totalmente a coloro che con arroganza si illudono di essere degli “arrivati”: nel sapere, nel potere politico ed economico, nel prestigio sociale, oppure si vantano farisaicamente di essere perfetti: “In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Matteo 11, 25-26).

A questo richiamo di Gesù fa abbondantemente riferimento Papa Francesco, quando condanna la “cultura dello scarto” e invita a mettere al centro “le periferie” e a dare una priorità agli “ultimi”. Sarebbe auspicabile che non si dovesse aspettare dopo la morte una riequilibrata giustizia: “Così gli ultimi saranno i primi e i primi, ultimi” (Matteo 20, 16).

                                    Mons. Claudio Livetti