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San Pietro da Verona del Beato Angelico

La società dell’apparenza e del rumore

Uno dei malanni del nostro tempo é il mito dell’apparenza, il culto del farsi sentire, del fare notizia. Si dimentica che la vita nasce nel silenzio, l’uomo muore nel silenzio. Si vuole nascondere una povertà e un vuoto interiore e ci si accontenta di una vernice che copre una vita vuota, sfilacciata, frammentaria, “liquida” e inconcludente.

La saggezza dei nostri vecchi ha coniato i proverbi: “Il bene non fa rumore e il rumore non fa bene” e “Spesso l’apparenza inganna” e contro quelli che si vantavano dicevano “Quello lì é tanto fumo ma poco arrosto”.

La tradizione pitagorica greca aveva questo detto: “Il sapiente non rompe il silenzio se non per dire qualcosa di più importante del silenzio”. Fedro ha due bellissime favole: quella dell’uomo che é affascinato da una maschera da teatro ma é deluso perché alla bellezza dell’aspetto non corrisponde la presenza del cervello e quella della cornacchia che si illude di farsi bella mettendosi le penne del pavone.

Non si deve aver paura della propria identità e del silenzio interiore. Non é nella profondità interiore che si annega, ma nella superficialità. Talvolta la catastrofe di un’esistenza si cela nelle pieghe innocue del quotidiano epidermico e vuoto. Un po’ come certe catastrofi naturali che sono provocate dai nostri approcci superficiali e incoscienti con la natura. Chi ha capito il valore del raccoglimento e del silenzio riflessivo può giungere all’equilibrio dell’interiorità. L’uomo autentico ama il silenzio, medita nel silenzio, decide nel silenzio. Il silenzio é maestro di verità, gusto di profondità, pace, gioia e serenità.

Tre grandi dell’antico Testamento

Il profeta Samuele va nella casa di Iesse a Betlemme perché Dio ha deciso di consacrare re uno dei suoi figli. Iesse é lusingato e presenta al profeta il figlio maggiore: un bel ragazzone robusto, ma: “Il Signore disse a Samuele: non guardare al suo aspetto e alla sua alta statura. Io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore” (I libro di Samuele 16,7).

Vengono scartati anche gli altri figli e il più piccolo, Davide, sarà unto dal profeta come futuro de d’Israele.

Il profeta Elia: “Entrò in una caverna per passarvi la notte. Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco la voce di Dio” (I libro dei Re 19,9.11-13).

Il condottiero Mosè scendendo dal monte Sinai presenta le tavole della Legge. Il primo comando é: “Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto é lassù nel cielo, né di quanto é quaggiù sulla terra, né di quanto é nelle acque sotto la terra” (Esodo "20,4). Non si devono costruire immagini di Dio, perché l’uomo deve trovare l’immagine di Dio in sé stesso. La voce di Dio non risuona materialmente agli orecchi, ma entra nel cuore, nella profondità della persona.

Gesù maestro di interiorità

San Luca, l’evangelista della preghiera, descrive più volte Gesù in preghiera: “In quei giorni egli se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio” (Luca 6,12). Gesù nel discorso della montagna raccomanda: “Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. Invece quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo che é nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Matteo 6,5-6).  Gesù ha condannato aspramente l’esteriorità ipocrita: “Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci” (Matteo 7,15) e ancora: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che assomigliate a sepolcri imbiancati: all’esterno appaiono belli, ma dentro sono pieni di ossa dei morti e di ogni marciume. Così anche voi: all’esterno apparite giusti davanti alla gente, me dentro siete pieni di ipocrisia e iniquità” (Matteo 23, 27-28):

L’interiorità nella vita dei religiosi

Siccome la proposta cristiana é di profonda interiorità, non ci si meraviglia che fin dai primi secoli ci fossero persone che andavo alla ricerca di Dio: emblematico é Sant’Antonio abate. Sentendosi chiamato da Dio ad una vita contemplativa, andò a vivere in casolari abbandonati, e successivamente di caverne nascoste. Infine, si inoltrava sempre più nel deserto, inseguito da molti discepoli che volevano imitare la sua vita eremitica. Non erano persone che fuggivano dal mondo per non volersi impegnare, ma asceti che cercavano Dio, la vita nascosta, la santità evangelica. Arsenio, uno degli antichi eremiti, suggerisce: “Fuggi, fa’ silenzio, sii tranquillo da queste radici nasce la possibilità di non peccare”. Un racconto degli antichi eremiti dice che un giovane fratello si recò a Scete dal padre Mosè per chiedergli un consiglio. L’anziano gli disse: “Va’, resta seduto nella tua cella, e la tua cella ti insegnerà ogni cosa!

Successivamente, San Basilio in Oriente e San Benedetto in Occidente, hanno dato origine alla vita di comunità di monaci. Il monachesimo ha molto valorizzato la “cella”. Per la gente comune ha un significato carcerario, che comprime la libertà e la vita delle persone, ma la parola deriva dal latino coelus (cielo). Nella sua stanzetta il monaco vedeva solo il cielo, perché non c’é soffitto, non c’é limite al Dio che si desidera e che viene. Il monaco poi passa dall’intimità della cella alla Basilica per la liturgia comunitaria. Poi ciascuno al proprio lavoro, perché il monastero é economicamente autonomo.

Tutti gli Ordini Religiosi successivi e le forme di Vita Consacrata hanno conservato e sviluppato l’aspetto della vita interiore dell’antico monachesimo.

L’interiorità nella vita dei laici

Il silenzio e la "dimensione contemplativa della vita” (era il titolo della prima lettera pastorale del Cardinal Martini) non sono una prerogativa esclusiva dei religiosi. Anche i laici hanno bisogno del silenzio che stimola a pensare, serve a non sbagliare, dispone ad ascoltare, aiuta a pregare.

Si possono creare spazi e momenti anche in casa propria e nei viaggi solitari in automobile. Una mamma mi confidava che riservava per sé stessa almeno dieci minuti o un quarto d’ora ogni sera, quando ormai tutti erano a dormire: un tempo indispensabile per rileggere la giornata trascorsa e prevedere che cosa avrebbe detto ai figli l’indomani. Anche un noto attore ancora in forma, si ritirò dalle scene dicendo:” Adesso basta! Sono stato fin troppo alla ribalta. Adesso ho un appuntamento con me stesso.”

Si possono vivere momenti intimi e costruttivi anche quando si entra in una Chiesa deserta, quando non ci sono celebrazioni comunitarie. Una meravigliosa occasione per concentrarsi su di sé e fare un colloquio personale col buon Dio.

Si possono vivere giornate di ritiro spirituale in qualche casa religiosa. Sapendo che ogni monastero ha da sempre, per tradizione, una foresteria vicino alle celle dei monaci, chi vuole può chiedere ospitalità per qualche tempo da dedicare alla propria vita interiore, magari condividendo momenti della vita della comunità monastica.

                                         Mons. Claudio Livetti